Bozze per un romanzo

Capitolo 7

Il tempo gli scivolò tra le mani molto velocemente, come i giri della lancetta del suo orologio da polso.
Quel quarto d’ora fu forse il più veloce della sua vita: la campanella sanciva la fine dell’ora e della giornata, almeno per lui.
Disconnesse il wireless, poi s’alzo dalla cattedra per prendere tutti i fogli, cominciando dalla prima fila fino a giungere all’ultima.
Minuziosamente riordino quello “zibaldone” di fogli volanti unendoli con una graffetta, poi spense il portatile, ripose tutti i fogli in borsa. Un sospiro di sollievo gli nasceva spontaneo guardando la classe ormai vuota. Restava solo la luce del sole a dargli compagnia, accarezzando il suo viso colpito dai suoi raggi caldi.
S’incamminò verso l’uscita. Era da solo lungo il grande corridoio.
S’avvicino così alla porta con il maniglione antipanico, e la spinse: gli sembrava di abbracciare la libertà, di perdersi in un abbraccio fresco ed azzurro, come il cielo, lo stesso cielo che lo vedeva camminare in solitudine lungo la strada.
Aveva poca voglia di tornare: “in fondo è ancora presto, pensava”. Non perse l’occasione, quindi, di prendere la strada più lunga, che costeggiava il viale pieno di vetrine e di persone come le onde del mare, chiuse nelle ventiquattrore o tra gli zaini dei ragazzi.
Erano le stesse vetrine che un dì lo avevano reso felice, ma lo aveva fin troppo presente nella mente, e decise bene di non ricordarselo ulteriormente. Si sentiva stranamente leggero, e nel contempo stranamente felice, come non si sentiva da tanto tempo, forse proprio da quando condivideva l’emozione di quel cielo così immenso e limpido con quella stessa persona che adesso si approssimava ad odiare.
Bella forza: odiare era per lui praticamente impossibile! Figurarsi se mai poteva cominciare a farlo proprio adesso. Eppure le motivazioni per farlo c’erano tutte, e di certo non erano da poco!
Mentre si perdeva in un fiume di ragionamenti e vetrine colorate, la vibrazione del cellulare lo fece tornare alla realtà. Per fortuna che c’era ancora qualcuno che si ricordava di lui!
Gli amici erano pochi, ma quei pochi erano davvero preziosi e si erano guadagnati la sua fiducia e la sua simpatia, e non era cosa da poco!
L’SMS era un invito per il pomeriggio: una “jam session” in compagnia degli amici era una occasione troppo ghiotta per rifiutare!
L’idea lo rendeva già felice: passò dall’altra parte, sul marciapiede che costeggiava il centro commerciale, e sotto il sole imboccò la strada di casa. Quella notizia lo aveva reso ancora più felice: avrebbe rivisto i suoi amici, avrebbe potuto scambiare con loro risate e note sui pentagrammi, e non chiedeva di più!
Camminando lungo il grande viale, raggiunse un cespuglio di gelsomini: non era un cespuglio normale, ma quello che lo legava a doppio filo con il suo passato.
Non ne poteva davvero più: tutto gli ricordava quella passata esperienza, e nonostante tentasse di far finta di nulla , proprio non riusciva a far finta di niente! La panchina in marmo, poco distante, era stranamente vuota quella mattina. Strano.
Solitamente era un luogo di ritrovo per gli anziani che osservavano il lento scorrere del traffico, o per i ragazzi che si fermavano ad accarezzarsi piano sotto il suono del fogliare, che piano si spandeva dal grande albero di pino antistante la piccola piazzetta.
Anche lui, un dì, si era ritrovato su quella panchina per condividere i suoi sentimenti, e quella volta proprio non seppe resistere alla tentazione di provare ancora quell’emozione, anche se per metà…
Si sedette piano, assorto nel suo velo di dolcezza e felicità, guardando il cielo azzurro sopra di se. Quel cielo si perdeva a vista d’occhio, interrotto solo dalla grande montagna che si ergeva esattamente nel centro del paesaggio.
Proprio da dietro quella montagna passava quella mattina un aeroplano, diretto chissà dove.
Qualcosa si mosse dentro se: era il caldo fiume di una lacrima a rigare il viso. Piangeva piano, e bagnava la sua cravatta azzurra sul vestito scuro. Piangeva, e non sapeva perché.
Forse era rabbia perché ancora una volta si stava piangendo addosso, inutilmente, o forse era il dolore dei ricordi che ancora bruciano nei cuori di chiama inutilmente.
Quell’aeroplano lo catapultò dritto nel passato, tra i ricordi del tempo che furono, e forse proprio quell’immagine lo rendeva ancora più partecipe alla realtà, alla realtà di sapere che c’era una lontananza immensa tra lui e ciò che batteva nel suo cuore, tra i suoi pensieri e ciò che sentiva nel suo profondo.
Ricordava ogni singolo momento trascorso, e si rendeva sempre più partecipe del fatto che la vita non ti aspetta.
“Il tempo è gentiluomo”: questa frase gli batteva in testa già da tanti giorni.
Il tempo non aspetta gli stati d’animo del tuo cuore, e se sei triste non ti da tregua. Lui se ne va indifferente e non ha tempo per te, non ha tempo per cercare di consolarti.
Ancora una volta, gli rimanevano tra le mani l’odore dei gelsomini, e dei ricordi…

 

 


(Continua)

 


Bozze per un romanzo : solo una cosa voglio aggiungere . Non pensate che davvero quanto ho raccontato sia la fotocopia di cose accadute realmente . Magari ho preso spunto , ma per tutto il resto è soltanto frutto della mia fantasia . Questo racconto , come tutti quelli che seguiranno , sono PROTETTI DA LICENZA CREATIVE COMMONS LICENCE . E’ vietata la copia e la riproduzione, siano esse anche parziali . Se qualcuno fosse interessato al mio racconto , può contattarmi privatamente dalla sezione "Contatta Il Giomba" (C) Giomba – C.C.Licence

2 Commenti

  1. sono passato a correggere: a parte gli accenti mancanti sul “da” e il “se” reiteratamente, e a parte “questo racconto sono pubblicati”, non ho visto errori, complimenti! :-) un suggerimento (serio): che ne dici di qualche colpo di scena nel prossimo capitolo? Tipo qualcuno che muore :-)

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