Qualche giorno fa, Rai Storia, ha proposto un interessante documentario sul disagio mentale intitolato “Il pregiudizio – il sano e il matto” (1972 – Tilde Capomazza): è interessante notare come la società abbia cambiato i suoi punti di vista “pregiudizievoli” sul disagio mentale. Ma è veramente così?
Le interviste, raccolte durante l’anno 1972 presso diversi ospedali psichiatrici, raccontano una realtà di certo modificata negli ultimi quarant’anni: i “manicomi” hanno smesso di esistere, e si è provveduto a dare una maggiore dignità alla persona con disagio mentale.
Già, il “matto”, il “pazzo”, il “malato di mente”, chiamatelo come volete, e con tutti gli appellattivi che desiderate: ma cosa è cambiato rispetto a quarant’anni fà? Esistono ancora quei pregiudizi capaci di rovinare per sempre la vita di chi ha sofferto un disagio interiore, e per questo viene “marchiato a fuoco” per sempre?
Uno psicologo intervistato, raccontava di come i pazienti dell’ospedale psichiatrico presso cui lavorava, una volta dimessi, e quindi normale reinseribili nella società civile, senza nessun tipo di problema, venissero totalmente esclusi da ogni tipo di attività lavorativa o sociale.
Non potevano trovare fidazata o moglie, perchè “nessuno si prenderebbe in sposo una persona che ha avuto problemi di mente”, ne tantomeno potevano trovare lavoro, perchè “è stato malato di mente. E’ una persona poco affidabile”: fa un pò sorridere parlarne oggi, ma forse neanche tanto.
In alcune zone d’Italia, persino chi si sottopone ad una semplice psicoterapia viene visto come una persona “che ha problemi”, “che si è rivolta ad una struttura perchè si deve curare”, e guai a dirlo in giro! Non sia mai che si sappia una cosa simile!
Non pensate si tratti di un’esagerazione: c’è davvero da riflettere abbondantemente sul significato dei pregiudizi di chi, forse per ignoranza, ritiene che il “malato mentale”, dal più “semplice” a colui che ha patologie più serie, sia una persona “di cui aver paura”.
Cosa ne pensate? Credete che nel 2010, a quarant’anni da quel documentario, qualcosa sia cambiata, o ancora adesso si tende ad “emarginare” chi soffre, ritenendolo “pericoloso”? A voi la parola!
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