Spesso sento questa frase, “potevamo darci ancora tanto”, e non nego che pure io, talvolta, ci ho pensato in questi anni, è innegabile…
E’ innegabile immaginare che una storia d’amore che duri per tanto tempo non lasci degli strascichi, non lasci delle “tracce” tra la memoria ed il cuore, ma, sopratutto, è innegabile immaginare che non porti a delle riflessioni successive alla fine della storia stessa.
Una tra le riflessioni più importanti e maggiormente frequente è “potevamo darci ancora tanto”. Fateci caso: è una delle cose che si ripete più spesso e maggiormente, sopratutto quando ripensi a come le cose siano andate e a come, invece, immaginavi che andassero. Nonostante tutto, però, sei assolutamente convinto che quella storia poteva permetterti di dare e di ricevere ancora tanto, esattamente come ti eri prefissato che fosse.
Ci si poteva, ancora, scoprire e conoscere, vivere decine e decine di altre esperienze, parlare, vivere nuovi spazi e minori distante, ma, sopratutto, si poteva crescere insieme e diventare, insieme, persone migliori, ma, logicamente, parliamo di quel che sarebbe potuto essere, non di quello che è, effettivamente, poi stato, e questo, lo ammetto, è svilente e triste, e fa abbastanza male, sopratutto se si considera che, in fondo, sarebbe bastato un minimo di “buon senso”, un’attesa tale che permettesse alla propria mente e al proprio cuore di trovare un equilibrio nuovo e costante, come, obiettivamente, è poi successo.
Preso dal caos di quel periodo, adesso sorrido se ripenso alla stupidità di mille ansie assurde che mi ero fatto e che non avevano alcun motivo di essere: credevo che si sarebbero venute a creare distante insormontabili, e adesso sorrido quando faccio la stessa strada più e più volte al giorno, e mi rendo conto che, probabilmente, sarebbe stato necessario solo attendere, e trasportarmi, per mano, in mezzo alle mie paure, così da permettermi di capire che erano solo “sbagli cognitivi”, errori di calcolo di una mente che correva troppo veloce. E invece no, il finale è stato diverso: si è preferito, insomma, darci un taglio netto, senza considerare che c’era ancora tanto da fare e tanto che si poteva fare insieme.
“La storia era agonizzante ed io ho solo staccato la spina”. Col senno di poi, invece, mi accorgo che la storia aveva solo il raffreddore, ma per un raffreddore si è preferito ucciderla. Questo mi fa pensare che la mia primissima impressione era quella reale, ma io non provo rancore ne do colpe a nessuno: in fondo, credo che la vita riesca sempre a ristabilire degli equilibri e dare ad ognuno quel che merita. Certo, fa male sapere che è stato più semplice uccidere una storia che curarne i suoi acciacchi, anche perchè è più comodo dare una storia per “moribonda” piuttosto che attendere che la cura faccia effetto, ma l’aver capito che avevo ragione fin dal principio mi fa riflettere e mi fa capire tante e troppe cose. Non ho rancore, davvero, ma non può non restarmi l’amaro in bocca per aver ammazzato una storia che aveva un banale raffreddore. Un banale “incidente di percorso” che ne ha decretato una fine barbara, bieca ed impietosa. Bastava solamente attendere, bastava solamente non lasciarci le mani, bastava solamente aspettare un po. No, ammazzare le storie e i sentimenti è la strada più semplice: in fondo, forse, credo, non lo so, ci si sbarazza solo di quel che non è realmente importante per noi, anche perché se uccidiamo qualcosa che è per noi importante, vuol dire che stiamo affrontando un delirio senza precedenti, e nonostante tutto sono certo che non sia questo il caso. E allora? E allora niente: solo tanto amaro in bocca e una consapevolezza chiamata INSENSIBILITÀ. Tutto, semplicemente, qui.