Ci si ritrova, talvolta, a provare “pena umana”, la più alta e simbolica forma di dispiacere verso un altro essere umano, anche quando non si dovrebbe…
Arriva un bel giorno in cui rifletti, e ti accorgi di trovare “pena umana”, come la chiamo io, verso un’altra persona, che, magari, ti ha anche fatto male facendoti soffrire in maniera atroce, ma, nonostante tutto, provi sempre quel “minimo sindacale” di “dispiacere”, tipico e proprio, verosimilmente, delle persone troppo buone, o, parimenti, di chi, nonostante tutto, mette sempre il cuore oltre l’ostacolo, e per questo, troppe volte, si è ritrovato a soffrire nella propria vita.
Eppure, tu provi pena verso quell’altro essere umano, anche se quella persona non ha certo provato alcuna pena nei tuoi confronti quanto ti ha ucciso con il suo stupido rancore, quando ti ha rivolto contro frasi da far star male, quando, in pochissimo tempo, è stata capace di rovinarti una vita intera. Già, la vita: poi ti rendi conto di come proprio la vita abbia fatto il suo lento, ma inesorabile, dovere, che alcuni si apprestano a definire, ad esempio, “Karma“, e allora inizi a riflettere, inizi a pensare, ad osservare, e non puoi non provare pena nel vedere come la vita abbia riequilibrato le situazioni.
Certo, sapevi che, prima o poi, qualcosa sarebbe successa, ma certo non potevi mai immaginare che sarebbe finita così, che quel delirio, di cui ti sei accorto fin dal primo momento, finisse col “mietere” metaforicamente una vittima, inconsapevole vettore di quello stesso delirio che si è portata appresso per troppo tempo, e non puoi in nessuna maniera rincarare la dose, anche se hai il coltello dalla parte del manico, anche se potresti sparare, anche se, adesso, sei tu a muovere i fili del gioco, e potresti vendicarti. Ma no, non ne vale la pena.
Ti limiti solamente a provare pena, pena umana. Ti volti di spalle e te ne vai, incapace anche solo di pensare o dire una parola…