Rientra nel gioco: i ricordi riaffiorano, prepotentemente, e hanno il preciso compito di farti del male, ma farti anche capire dove sei arrivato adesso…
Riascolti una canzone, riaffiorano i ricordi. E basta, davvero, un niente.
Ho un ricordo preciso delle canzoni che cantavamo sugli spalti di marmo della mia scuola superiore, nelle mattine di maggio, quando stava finendo la scuola, mentre prendevamo il sole fantasticando sul futuro.
Maledizione, avevamo nemmeno 18 anni e volevamo conquistare il mondo. E mi manca la spensieratezza di quelle mattine, l’incoscienza del ritrovarsi davanti la scuola e dire: “ma guarda che bella giornata che c’è, ma veramente dobbiamo entrare e uscire alle due e dieci? Sai che facciamo? Ce ne andiamo via in massa!” E ce ne andavamo via, sui motorini, sulle prime auto che i diciottenni potevano già guidare, e vivevamo mattine azzurre a cantare le canzoni con i finestrini abbassati, in mezzo al traffico: ricordo le ragazze che ci guardavano e si nascondevano per non farsi vedere. Mi ricordo i giorni in cui si faceva occupazione e sentivamo suonare le chitarre e i bongo: i ragazzi cantavano le canzoni delle “4 Non Blondes“ e l’azzurro di quelle mattine limpide sembrava disegnarsi su di noi.
Mi manca atrocemente tutto questo. Davvero. E in fondo, credo sia esattamente questo il compito dei ricordi, ovvero spingerci a ricordare, spingerci a vedere quel che è stato, certo, ma spingerci a comprendere quanto tempo è passato e quanto, adesso, abbiamo costruito ripartendo dal giorno di quei ricordi, ripartendo da quel periodo, e dimostrando a noi stessi come, in qualche maniera, siamo riusciti a costruire qualcosa di concreto, di vero, di unico, di reale.
E poco importa se, alla fine, i sogni di quei diciottenni non si sono avverati del tutto: la vita non è ieri. La vita è adesso… E un po anche domani!