Il nostro recondito dolore silenzioso

Il nostro recondito dolore silenzioso

Chi, meglio di noi, può conoscere la vera essenza di un dolore che abbiamo provato sulla nostra pelle e sulle nostre lacrime? Probabilmente nessuno…

Ci sono dolori e solitudini che la gente non può comprendere, sopratutto se non ha vissuto quel dolore e quel silenzio in prima persona.

Certo, in linea generale viviamo – o possiamo vivere – lo stesso “range” di possibili tristezze, di possibili eventi traumatici, di possibili dolori che incorniciano la nostra vita, ma il dolore profondo di certe storie, lo strascico di tristezza e di solitudine, sono sempre emozioni soggettive, che variano da persona a persona, per intensità e per modo di essere vissute.

Ognuno di noi, infatti, metabolizza il dolore alla luce di quel che ha vissuto nel proprio tempo, alla luce di quelle che sono state le persone che hanno tracciato la nostra strada sul nostro cammino: si può tentare di essere prettamente “empatici”, si può cercare di provare lo stesso dolore della persona che abbiamo di fronte, ma, probabilmente, difficilmente riusciremo a provare il suo stesso stato d’animo, la sua stessa necessità di piangere, in certi momenti, o di trovare conforto in qualcosa o in qualcuno…

…Così, c’è chi trova conforto e “riparo” (totalmente illusorio), ad esempio nel cibo, piuttosto che in sostanze ben più pericolose e deleterie per la salute umana, e chi cerca, invano, riparo nella gente: così, parte alla disperata ricerca di altre mani da stringere, di qualcuno con cui poter parlare e raccontare, con cui poter sorridere, con cui poter rinascere e rinfrancarsi dai dolori del tempo vissuto, o, semplicemente, qualcuno che ti permetta di condividere il tempo che rimane nei suoi frangenti talvolta unici, come il tramonto, il rumore delle foglie quando soffia il vento, le fusa di un gatto, lo scricchiolio delle foglie secche, il canto delle cicale…

Certo, chi ti nega di vivere quei frangenti da solo? Verosimilmente nessuno, ma la natura umana è quella del “branco”: l’uomo, per quanto evoluto sia, resta pur sempre un animale, che non sarà mai davvero completo se vive la sua vita nella solitudine di un eremitaggio indotto, come quei lupi che vivono su vette inesplorate lambite dalla tormenta.

Puoi cercare, per quanto credi, di scappare e sfuggire a questo tempo, ma i tuoi dolori saranno sempre e solamente i tuoi: nessuno potrà mai comprenderli veramente. Può avvicinarsi alla chiave di lettura del tuo malessere, al tuo necessario e primario bisogno di vivere una vita davvero completa, davvero colma di obiettivi da vivere insieme, per cui lottare insieme, per cui condividere il tempo che resta, ma nessuno, probabilmente, può provare l’intensità del dolore esattamente per come l’hai provata tu, sulla tua pelle e sulle tue lacrime…

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