Le lacrime che conosco soltanto io, e che soltanto io posso comprendere nel male che fanno e nel modo in cui ti distruggono…
Le lacrime che conosco soltanto io. Perché si: ci sono lacrime che conosco soltanto io. La gente non sa cosa ho passato, ma ha la stupida pretesa, quasi, di venirmi ad insegnare la vita.
Giusto ieri, leggevo un’intervista di Claudio Casisa de “I Soldi Spicci”, che raccontava come, dopo dieci anni di convivenza, fosse rimasto solo e senza lavoro. Premesso che con Claudio ci conosciamo da quando eravamo bambini, posso dire che capisco molto bene ogni singola parola che scrive, visto che ci sono passato moltissime volte.
Il fatto è che, in buona sostanza, non ci si abitua mai a questa strana idea di vuoto, di separazione che resta: spesse volte, quando le cose terminano anche dopo diversi anni, e parlo per esperienza personale, il dolore che si sente è direttamente proporzionale al numero di anni trascorsi insieme. Più sono tanti, più soffri. Per questi contingenti, anche io, in passato, mi sono ritrovato nella stessa situazione di aver perso, in un colpo solo, convivenza, quasi matrimonio, amici e lavoro, e so soltanto io quello che si passa, specialmente quando ti ritrovi a che fare con il vero volto delle persone.
Ancora adesso, a distanza di una decina d’anni, mi ricordo molto bene quando le persone mi evitavano sul marciapiede o accampavano scuse per non parlarmi, o quando mi vedevano passare per la strada e buttavano la sigaretta sana dalla finestra per andarsi a tappare in casa abbassando addirittura le tapparelle. Mi ricordo tutto alla perfezione. Esattamente come mi ricordo molto bene cosa abbia significato, per me, perdere una persona che amavo moltissimo e, a corto raggio, perdere il lavoro per questioni contingenti, e ritrovarsi in una casa grande e vuota, dentro un silenzio che ti spaccava le ossa a mille pezzi, in mezzo alla totale e completa indifferenza delle stesse persone che ti hanno ridotto in questo modo.
Sono tutte sensazioni che ti porti appresso costantemente: e poi, le domande stupide ed indelicate delle persone, il dover spiegare, piangere da solo… Ho perso il conto delle sere e delle notti passate a piangere da solo mentre camminavo per la strada e sui marciapiedi, senza che nessuno si fosse mai accorto di nulla. Figurarsi.
Su chi ho potuto contare? Praticamente su nessuno. Giusto qualche amico, ma non so nemmeno se arriviamo a due, tre persone. Sicuramente, ho potuto contare sul mio santo Terapeuta, che, come dico sempre, non so per quale motivo non abbia ancora strappato la Laurea e sia andato a zappare patate dopo aver ascoltato, per anni, tutte le mie paturnie, e poi… Solo me stesso. Ho potuto e dovuto contare soltanto su me stesso: come scrivevo qualche giorno fa, le persone sono molto superficiali. Raramente si sforzano di guardare aldilà degli occhi e delle parole della gente. Preferiscono accontentarsi di quello che vedono superficialmente, probabilmente per non prendersi la briga e la responsabilità di aiutare davvero una persona. In fondo, se cerchi di parlare con loro, ti diranno che “hanno mille cose da fare, da pensare”, e, in generale, che hanno sempre problemi più grandi e più seri di quelli che hai tu.
Ancora adesso, mi rendo conto di quanta sofferenza resti, e di quante cicatrici ti rimangano addosso, come un eterno loop che continua, imperterrito, e non la smette di farti del male. A volte, arrivo a pensare che sia quasi una specie di condanna da dover scontare… Che poi perché?
Vedi cosa: ciò che veramente dispiace, è vedere che tutto il bene che hai sempre dato alle persone, l’amore che hai dato, i sacrifici, la voglia di vivere un rapporto serio e davvero valido, sia completamente inutile di fronte a persone che l’amore non sanno nemmeno dove stia di casa, accecate dal loro stupido egoismo, dalla cattiveria, dalla prepotenza, e dalla più totale anaffettività. Ed è una cosa che distrugge lentamente e progressivamente, ma la gente non lo capisce: ho urla tutto il dolore che avevo dentro, e le mie urla non sono mai servite a destare l’attenzione di nessuno. Anzi, davo anche fastidio. E io di queste cose non posso non avere memoria, perché i momenti che ho passato li conosco soltanto io, e so molto bene cosa significa.
Alla fine, è davvero un peccato rendersi conto che è stato tutto inutile, ed è davvero un peccato, ancora adesso, essere infelice di fronte alla condanna del non poter avere ciò che nel cuore desidero davvero.
Mi sto lentamente convincendo che, di fatto, a me non sia permesso, altrimenti non me lo spiego.