Nulla di tutto questo mi è nuovo

Nulla di tutto questo mi è nuovo

Purtroppo o per fortuna non lo so, ma posso assicurarti che nulla, niente di tutto questo mi è nuovo: il dolore che proverò lo conosco molto bene…

Nulla di tutto questo, purtroppo, o forse per fortuna, mi è nuovo: le strade già deserte, il silenzio, il rumore dei propri passi sul marciapiede, il vuoto, le piante che si piegano al vento, la solitudine interiore ricordando, riflettendo, pensando, osservando, camminando, guardando.

Nulla di tutto questo è una novità: alla fine, è un dolore – se tale è definibile – che passa silenzioso come il tempo che scorre e ti permette di lasciarti alle spalle anche queste sensazioni che tre, quattro volte l’anno, vengono a farti compagnia. Vorresti, di certo, farne a meno, ma sai che, probabilmente, servono anche loro, perché per uscirne fuori devi, obbligatoriamente, passarci nel mezzo, e se ci passi nel mezzo devi inventarti qualcosa per non soffrire e difenderti, e se lo fai maturi quasi degli “anticorpi”, diciamo così, che ti fanno da scudo e ti permettono di soffrire, forse, un po di meno, probabilmente perché conosci già la tristezza da affrontare, la sua forma, le sue caratteristiche, le sue peculiarità.

Non c’è niente di nuovo: sono giornate che capitano quelle tre, quattro volte all’anno, e l’unica cosa sensata da fare è resistere, ma senza dargli, in fondo, troppa importanza, che non meritano. Il tempo si può impiegare ugualmente ed in egual forma puoi capire quante cose puoi fare e quali pensieri puoi o devi evitare…

…E nel frattempo, la mente se ne va, verso l’iperuranio di ricordi e momenti “vissuti di già”, che restano tali, immortalati in un “non ritorno” volontario, ma che ti permettono, in qualche modo, di stare un po meglio, magari perché ti accorgi che, stupidamente t’è nato un sorriso sul volto ripensando a quei frangenti, alle tante cose che hai visto, alle tante cose che hai vissuto, e a come tutto questo sia esploso in una bolla di sapone, d’improvviso, con la risultante di quei momenti che conosci già, con il loro bagaglio di miti sensazioni, così violente nella loro staticità, nella loro stanca ripetizione, nel loro fragoroso silenzio, esplosivo nel suo vivere giornaliero e straordinario nell’accorgerti di quello che c’è rimasto!

A voglia se so che cosa significa, se so che cosa si prova e che cosa si sente, ed ecco perché ho deciso, categoricamente, di disconoscere questi giorni, e vorrei sparissero dal calendario, perché se tanta gioia mi hanno regalato, tanto dolore mi donano adesso, ed io, sinceramente, vorrei si potesse saltarli a pie pari: ho vissuto dolori indescrivibili, il male e la sofferenza del vuoto, la sensazione di vederti schiacciare il cuore sotto i piedi, il domandarti perché tu stessi soffrendo tanto, e quando tutto questo si ripresenta, diventa solamente un brutto ricordo, fatto di tutto quel male che, ciclicamente, torna a distruggermi. Ed io, onestamente, vorrei che tutto questo sparisse, che tutto questo non esistesse.

Vedo la gente felice, vedo la gente disconoscere il senso di queste mie parole e di queste mie sensazioni, e mi rendo conto che il peggio, per quanto peggio possa essere stato, almeno aveva un senso di etica e paradossale rispetto che altri non hanno mai avuto.

Tutto diventa solamente un ricordo da disconoscere, un ricordo da gettare via e far finta che non esista. Ma purtroppo esiste, e fa male: ecco perché tanto attendevo questi giorni, e tanto, adesso, spero che vadano via e spariscano in fretta… Il loro ricordo mi frantuma in mille pezzi e mi fa male, mi ricorda quello che era e quel che, di colpo non è più stato, e troppi ricordi ritornano, maledettamente, alla mente: le giornate trascorse dietro la finestra, il dolore del vuoto, le domeniche senza fine, il tempo che non passava più ed io che non sapevo cosa fare per farlo passare e cercare di ingannare la mente al pensiero che tutto ciò non era evidenza, che tutto ciò sarebbe improvvisamente finito, che tutto si sarebbe aggiustato…

…Ma cosa? Che cosa si è aggiustato? Che cosa si è mai risolto? Le lacrime mi sono diventate pietra sulla faccia, le scudisciate che mi ha dato la vita hanno continuato a sanguinare finché io stesso non ne ho rimarginato le ferite, e nessuno mi ha risparmiato niente: se sono rimasto in piedi lo devo solamente a me stesso e a quelle poche, pochissime persone, che conto sulla punta delle dita, che mi hanno ascoltato e hanno dato un peso al mio dolore e alla mia sofferenza, al mio malessere puro, alla mia sofferenza così profonda, alle lacrime che ho versato ogni santo giorno per troppi giorni.

E più cercavo una risposta, più non riuscivo a trovare un senso a nulla di tutto ciò, e la mia mente tornava a meravigliosi pomeriggi assolati, a tiepidi pomeriggi d’inverno imbacuccati nei giacconi, alle foglie gialle sul marciapiede, agli odori delle stagioni che cambiavano, a tante, tantissime parole, a pomeriggi insieme, a serate in cui le stelle sembravano maledettamente vicine, e mi domandavo – senza mai riuscire a trovare una risposta – come potesse essere stato possibile che tutto ciò non esistesse più, che tutto ciò fosse volontariamente sparito, volontariamente perduto, volontariamente ucciso, volontariamente fatto esplodere. Come era possibile? Non era affatto possibile, non era affatto vero tutto ciò…

…E’ invece era vero, eccome se lo era: ecco perché le ricorrenze di ogni anno suscitano e scatenano in me il peggio, e vorrei superarle senza neppure pensarci, senza che nemmeno esistessero. O forse, vorrei solo far sentire il mio dolore, il mio dispiacere, la mia profonda delusione nel vedere la piega che han preso gli eventi, e il fatto che non me lo sarei mai potuto aspettare. In fondo, ho visto, davvero, il peggio della gente, ma posso dire – e lo ripeto ancora – che quello che credevo fosse realmente “il peggio”, almeno, aveva una sua “etica” ed una sua morale, che non ho più riscontrato in nessuna persona ed in nessun altro comportamento.

Vorrei solo che tutto questo passi e passi in fretta. E basta.

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