Beata te, cara ragazza, che mi parli con l’innocenza di chi crede all’amore vivendo un’età ancora spensierata…
Credimi, vorrei davvero essere come te: mi parli dell’amore con la semplicità, l’innocenza, la purezza di chi crede ancora all’amore, forse perché non lo ha, ancora, vissuto appieno, forse perché non sa, realmente, cosa significhi avere un cuore frantumato dall’amore, forse, perché, vive l’amore in maniera diretta, senza nessuna sovrastruttura creata dall’intelletto e dal genere umano.
Vorrei anche io dirti che credo ancora all’amore, ma, anche se mi sforzo, mi rendo conto di non farcela: mi rendo conto che è realmente molto difficile credere ancora all’esistenza dell’amore dopo che tanta, troppa gente ti ha ferito usando l’amore come arma contundente per stracciarti il cuore e la carne senza nessuna pietà… Vorrei, realmente, poter pensare e poter credere che esiste il modo di amare senza farsi del male ma solo godendo di un bene capace di ricrearci e rigenerarci, ma sento forte la responsabilità del dover difendere me stesso da altro dolore, che sarebbe inutilmente deleterio, inutilmente e stupidamente utile solamente a caricare altro dolore su un dolore che esiste già, e che, a dirla tutta, non avrebbe neppure motivo di esserci.
Eppure, ascolto le tue parole, e con le tue quelle di moltissima altra gente, e non so se credere alle vostre storie, fatte di amori che riluccicano, di stelle, di sentimenti, di emozioni, di sorprese ed occhi lucidi, o se guardare la mia realtà, costruita sul dolore dell’abbandono, sul dolore di quella maledetta spina staccata ai sentimenti che pulsavano ancora, sull’urlo di dolore imploso un pomeriggio di maggio, quando, in un solo istante, il sipario è calato su tutto il resto.
Vorrei poter credere ancora che esistano amori così, che esista la semplicità di perdersi nell’abbraccio di qualcuno che ti possa davvero difendere, ma guardo le mie cicatrici, e mi rendo conto che sanguinano ancora. Mi dispiace, ma non posso, non riesco a crederlo più…