I giorni di vuoto li conto sulla mia pelle

I giorni di vuoto li conto sulla mia pelle

I giorni di vuoto li conto sulla mia pelle: uno dopo l’altro, sento tutto il dolore di questo tempo che non ti risparmia, davvero, nulla…

I giorni di vuoto li conto sulla mia pelle. Uno dopo l’altro.

Conto sulla mia pelle questi giorni di vuoto e dolore, di sofferenza e silenzio che ho intorno: li conto e li sento come tutto quel male che mi fa la mancanza di tutto quello che mi faceva bene, di tutto quello che, per me, rappresentava vita e speranza.

Eppure, cammino nel deserto di sere fredde e buie, di luci che illuminano la strada, e sento come la sensazione di essere invisibile, di essere indifferente in mezzo all’indifferenza della gente… Mi sento come se fossi trasparente in mezzo a gente che neppure mi vede, che neppure riesce a rendersi conto che esisto, che sono qui… Vorrei tanto che la gente potesse sentire il dolore che ho dentro quando cammino, da solo, lungo la strada, e dietro gli occhi appannati piango, perduto nei miei pensieri, sapendo che nessuno mi vede e nessuno si rende neppure conto di me: tutto quello che sento dentro ribolle come le viscere di un vulcano, e quella sofferenza mi distrugge un pezzo per volta, quasi come se non esistesse altro che questa martellante sensazione di dolore e vuoto che si ripropone, giorno dopo giorno.

Conto sulla mia pelle le sere in cui torno a casa e piango, in silenzio, e sul pavimento, in controluce, vedo le mie lacrime gettate li, come gocce di dolore e silenzio che sgorga dal profondo del tempo, del cuore e dell’anima, quasi come a voler gettare via tutto il male che sento, tutto il dolore che sembra distruggermi. Vorrei anche io, a volte, essere indifferente, essere sereno e felice nel non sentire la responsabilità ed il peso di ciò che ho fatto, dell’abbandono che, per fortuna, non ho mai, personalmente, messo in atto con nessun essere umano, e vorrei essere felice nel mio vuoto mascherato da vita attiva, da vita piena, da vita produttiva, da vita quasi da star. A conti fatti, poi, cosa ti resta di concreto? Mi rincuora rendermi conto che, fortunatamente, pare essere una visione condivisa, ma le parole contano zero di fronte a chi ti abbandona, di fronte a chi non conosce il valore, di fronte a chi non conosce quello che conta e che vale davvero, di fronte a chi non sa quanto importante sia l’amore ed il bene di una persona che ama solo e soltanto te, e che vive attraverso il tuo sguardo, i tuoi occhi, il tuo sorriso.

Ma non importa: io non auguro il male, non l’ho mai fatto e mai lo farò. Ma forse, soltanto un bel rimorso: un bel giorno, svegliarti e renderti conto dei tuoi errori così superficiali, dei tuoi sbagli così stupidi, dei tuoi inutili ed inaccettabili addii e abbandoni che non hanno fatto altro che dare sofferenza. Ma dubito fortemente che questo accada: per provare il rimorso devi, prima, avere coscienza dei tuoi sbagli, e non puoi chiedere ad un’egoista di avere consapevolezza della pochezza di questo comportamento: in fondo, se ci fosse stata una vera maturità di base, non avresti mai subito l’abbandono preferendo mettere in primo piano se stessi e la propria persona piuttosto che il meraviglioso “noi” che avrei voluto fosse. Ma che ne capiscono loro del dolore che ti hanno gettato addosso, e che ti fa male, giorno dopo giorno: bello illudersi, bello non avere un cuore… Ma per quanto tempo la vita può reggere il tuo gioco? Il tempo ha tutte le risposte.

E chissà che il rimorso dei propri errori non sia una di quelle.

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