Macerie di amore

Macerie di amore

Macerie di amore, di quel poco che resta nel dolore, nel silenzio, tra le lacrime dei giorni che passano e sembrano non volere andare via…

Macerie di amore, macerie nel silenzio…

Restano soltanto tristi macerie di amore: le vedevo gettate li, in terra, che sembrano non avere più nessun senso, trasformate, ormai, in un inutile accozzaglia vuota, in un triste silenzio che mi resta dentro, mentre guardo ogni pezzo distrutto, mentre ascolto quanto sia pesante osservare quello che resta e tutto il male che fa restare inerte, in silenzio, in mezzo ad un vuoto e a questo senso di distruzione interiore con cui dovere fare i conti.

E’ una sensazione talmente tanto terribile da non potere essere descritta con delle parole, ma in qualche modo devo urlare il dolore che sento, devo urlare quelle crepe che mi urlano dentro, restando aggrappati al tempo che, in qualche modo, possa cambiare l’ordine delle cose e degli eventi, quando a conti fatti, davvero, cambia poco o nulla. Mi fa male l’idea che tutto si distrugga come un palloncino che, raggiunto il cielo, esplode, e non rimane niente che possa essere degno di essere vissuto, degno di essere portato avanti ancora un po’: il dolore ed il senso di distruzione che sono rimasti, lasciano dentro cicatrici profonde come tagli impressi così difficili da ignorare, così difficili da non sentire addosso, così difficili nel far finta che non esistono.

E invece esistono, esistono eccome, e fanno un grande male, un male immenso che non si può descrivere facilmente: subire l’abbandono è la condanna di chi resta, mentre chi lo mette in atto, così stupidamente, così superficialmente, vive sereno/a la propria vita, senza un briciolo di quel niente che aveva dentro. Perché solo con il senno di poi ti rendi conto che non sai più neppure se hai vissuto qualcosa di vero, o una farsa totalmente inventata, fatta apposta per essere un riempitivo, uno stupido vuoto come il niente che ti rimane quando la sabbia scappa via dalle tue dita, e rimani a pensare a quanto calore, quella sabbia, riuscisse a darti tra le mani in maniera così eterea, così sottile, così vuota, come tutto il dolore che ti scava dentro, che ti distrugge ora dopo ora, nella mancanza e nel silenzio, nei ricordi e nel ricordare.

E vorrei che Dio ti ascoltasse, e vorresti che tutto quel dolore che ti distrugge dentro si dissolvesse, che i pensieri volassero via una volta per tutte, che tutto quello che rimane si distrugga nel vuoto, come un crepaccio a ridosso del mare, come vetri taglienti scagliati verso l’aria vuota, verso quel dolore che ti ammazza. E una sera, ti ritrovi in strada da solo: sui marciapiedi vuoti, per le strade buie, c’è soltanto qualcuno che passeggia un cane, qualche gatto che rovista tra i cassonetti, e ci sei tu, a perderti nel silenzio e nel dolore, ascoltando i tuoi stessi passi, sentendo il tuo respiro, e ti perdi a cercare in ogni angolo quello che hai perso, e urli il tuo dolore tra le lacrime che nessuno vede. Le auto ti passano accanto e ti illuminano, e il vento porta via le lacrime secche sulla pelle, sul viso, e senti la disperazione di tutto questo male, e cerchi modi di reagire, e cerchi di renderti conto che non hai colpe, che hai solamente subito pura cattiveria.

Devi cercare di reagire, e allora inizi a pensarla diversamente, inizi a vedere la cattiveria di quella persona, inizi a pensare alla sua totale spietatezza, al male che ti ha fatto, e la mente ritorna a quei giorni lontani, a quei giorni di lontananza, e ti rendi conto che sono sensazioni che, in fondo, hai già provato duecento, trecento volte, e per questo motivo non dovresti sorprenderti del dolore, non dovresti soffrirne, non dovresti pensare che non te lo aspettavi, che non avresti mai potuto crederci, ma perché il tuo cuore deve sempre soffrire così? Per quale motivo il tuo cuore non può trovare casa tra le mani di una persona buona? Per quale motivo il tuo cuore, la tua persona, non possono mai trovare rifugio in un altro cuore buono, in un angolo di cielo da condividere, in una vita da poter ritrovare… Perché?

Sembra che neanche Dio ti ascolti più, e sprofondi sempre di più nel vuoto fluido del silenzio, nel niente che rimane intorno, nel male che resta dentro e non se ne va. E anche se urli, urli con tutta la tua anima, urli con tutta la tua forza, con tutto te stesso, la tua voce non si sente, la tua voce non arriva, il tuo dolore, i tuoi sentimenti non arrivano, non arrivano da nessuna parte.
Ed ecco che ti senti perdere, sempre di più, un pezzo per volta, un istante per volta: ti senti perdere, ti senti perduto, ti senti senza speranze, senza più quel sogno da coltivare, perché lo hanno calpestato, martoriato, ucciso, deriso, brutalizzato, strappato via con tutta la forza che avevano dentro, lasciando solo macerie. E adesso, cosa ti rimane di quei progetti? Cosa ti rimane di quell’amore? Cosa ti rimane di quella vita che scorreva tra le tue braccia quando il sorriso nasceva naturale nel rivedere quegli occhi?

Qualche sera fa, una mia amica mi ha detto: “sai, sono andato a vedere sul profilo della tua amica… Per il bene che ti voglio, vorrei riportare indietro il tempo per vederti di nuovo sorridente, per vederti sorridere, per vedere come stavi bene in quei giorni in cui il mondo sembrava appartenerti…” E voglio illudermi, voglio forse sperarlo, ma non sono soltanto i miei occhi ad aver perso quella brillantezza, quella luce speciale: io so davvero quanto amore esplodeva in me, quanta vita voleva vivere, quanti progetti urlavano per essere portati avanti insieme, io lo so. E so quanto avrei amato con tutto il cuore, con tutto me stesso, con tutta la mia forza. E in fondo, so che potrai incontrare mille altri occhi, ma non saranno più i miei: potrai cercare ancora l’amore che ti davo io, il bene profondo che ti davo io, i silenzi, le lacrime, la vita, gli abbracci, i baci, e tantissimo altro che sapevo darti io e nel modo che sapevo soltanto io. Ma mai nessuno sarò io. Ma mai nessuno ti darà il mio stesso amore. Quello che volevo donarti per sempre. Mai nessuno saprà amarti come ti amavo io, con quella grande ed unica sensazione di vita che nasceva in me solo guardandoti, solo aspettandoti, stringendoti forte, sentendo il tuo profumo, accarezzando il tuo viso, il tuo collo, e tutto quello che eri e sei sempre stata per me.

Vorrei strappare via questi mesi con la stessa facilità che hai avuto tu, e forse starei già bene come te, che vivi – immagino – nella più serena libertà di chi non si volta neppure a guardare chi è rimasto dietro se a piangere per il male che gli hai scagliato addosso. Vorrei strappare via tutto, vorrei che nulla mi facesse ancora del male, che tutto si dissolvesse, ma la condanna di chi ha amato con tutto il suo cuore, di chi il cuore ce lo mette sempre, è proprio quella di continuare a sentire vivide le tracce di quelle macerie rimaste.

E non sai quanto vorrei non avere un cuore. Proprio come te.

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