Per ogni dolore che ho affrontato da solo, per ogni volta che, da solo, ho dovuto rialzarmi nel dolore, nella paura, nella sofferenza.
Per ogni dolore che ho affrontato da solo. Per ogni volta che sono rimasto solo.
Per ogni dolore che ho affrontato da solo, per ogni paura, per ogni preoccupazione quando non c’era nessuno, quando non c’è nessuno, quando nessuno è al mio fianco nei momenti in cui vorrei solamente un abbraccio, in cui vorrei essere solamente rassicurato. Per ogni momento in cui piangevo, in cui ho pianto e nessuno mi era accanto, in quelle sere di dolore, di buio profondo in cui ricordo ancora adesso, sulla mia pelle, il dolore dei momenti di solitudine, dei pensieri che mi esplodevano dentro. Per ogni istante trascorso a pensare al male ricevuto, al dolore rimasto, alle cicatrici profonde lasciate dalla cattiveria, lasciate dal silenzio, lasciate dall’abbandono, dagli abusi psicologici, dalla violenza. Per tutto quel male che fanno le immagini rimaste in mente, i ricordi di pomeriggi caldi e ventosi, di notti trascorse in macchina, in giro per la città, a pensare che fosse quello il tempo che volevo vivere.
Per tutto quel dolore che è rimasto, per tutto quello che ho dovuto subire e superare da solo, coadiuvato da quelle poche persone che mi hanno ascoltato ore, giorni, settimane intere, ma nella consapevolezza di essere solo, di svegliarsi al mattino senza affetti che contino davvero, senza progetti, ma con il peso di mille ricordi, con il peso del dolore, di un peso sullo sterno, di un pianto che non passava, che non passa, che non se ne va, di un dolore che resta nel grigio di certe mattine e certi pomeriggi vuoti ed infiniti. Per la malattia che ho dovuto superare da solo, per i momenti di dolore e difficoltà che mi sono rimasti dentro ed accanto, che mi hanno cambiato per sempre, che hanno distrutto quello che ero, ancora una volta, come mille altre volte è successo in questa vita, in questo tempo.
Per tutto quello che mi ha cambiato radicalmente, irrimediabilmente, senza possibilità di fuga, senza possibilità che niente di più cambi e diventi diverso. Per me che resto qua, fermo, ad ascoltare i miei dolori, il rumore che fa quello che mi hanno fatto perdere, a cui – però – so di non avere rinunciato, nonostante sia rimasto da solo, quasi come a voler essere punito, quasi come a voler vedere altri che festeggiano la mia solitudine. Resto fermo, nel grigio di questo giorno, di questo tempo, di questa vita ferma, mentre vorrei soltanto avere la forza di dire che “non è stato nulla”. Ma non ci riesco. E resto in silenzio, di fronte a questo giorno che va avanti.
Resto in silenzio, ad ascoltare tutto quello che sono diventato, gettato nell’abbandono di tutto quello che avevo dentro. E di quanto faccia, davvero, male.