Riappropriarmi di me

Riappropriarmi di me

Riappropriarmi di me, riavvolgere il nastro e ripartire da me, ripartire da quello che conta davvero, cancellando quello che è stato.

Riappropriarmi di me, di quello che sarà lasciando andare ciò che è stato.

Da qualche giorno è come se sentissi allentarsi le morse del dolore e dei pensieri: è quasi come se mi stessi riappropriando di me, come se sentissi nuovamente mio quel senso di appartenenza a me stesso, che ho perduto da fin troppo tempo. Certo, questo non significa che il dolore svanisce, sparisce improvvisamente, se ne va quasi per magia allo stesso modo di come è arrivato, ci mancherebbe, ma è nelle piccole cose che riscopro l’importanza di me stesso. Cose banali, forse piccole, ma che per me hanno un valore, un senso ed un significato davvero profondo. Vestirsi eleganti e belli anche solo per se stessi, anche solo per cambiare, la voglia di rivoluzionare il tuo mondo intorno, di cambiare e darti altre possibilità, di scoprire posti, luoghi ed esperienze nuove, di vedere cosa c’è oltre il muro del solito, oltre quello che conosco già. E’ come chiedere alla vita una seconda possibilità, certo e consapevole che la vita può di certo aiutarti, ma non esiste nessun miracolo tranne quello che decidi di compiere tu stesso, quando decidi di continuare a piangere, di continuare a soffrire, ma di non stare fermo, pur con la distruzione dentro il cuore, pur con le più profonde ferite interiori, con la distruzione delle tue consapevolezze e della tua vita precedente.

La vita, spesse volte, ti mette di fronte quasi ad una sorta di “formattazione”: cancella tutto quello che va cancellato, tutto quello che è di superfluo, e se non sei tu a farlo, se non sei tu a prendere la scelta consapevole di accantonare quello che è ormai depauperato, non sarà certo la vita che vivi ogni giorno a farlo per te. E se le lacrime scendono, se ti senti solo, hai tutto il diritto a sentirti tale, ma la differenza la fa il non fermarsi, il continuare a camminare anche se hai il cuore a tremila, anche se piangi sui marciapiedi, anche se racconti a tutti la tua storia ed il dolore che hai dentro, anche se resti solo nella sera e nella notte, mentre il mondo sembra volerti lasciare un passo indietro, anche se la vita sembra non volerti dare tregua, ed ogni giorno vedi sfalsarsi e distruggersi la vita che altri hanno deciso che dovessi lasciarti alle spalle. Piangi, ti distruggi, ti sfaldi, ma devi andare avanti, anche se piangi mentre cammini, anche se ti resta dentro quel dolore che non riesci a descrivere, che soltanto chi ti guarda veramente negli occhi vede, perché è dagli occhi che si vede la lacerazione di un cuore mandato in frantumi, e solamente chi sa leggerti davvero dentro sa quello che hai passato e che vivi ogni giorno.

Chissà: forse è tutto quel dolore ad averti cambiato, forse è tutto il male che hai sentito dentro ad averti reso quello che sei, e a farti sentire meno, adesso, il peso di quelle catene: hai tenuto per tanto tempo tra le mani i frantumi dell’amore che ti hanno distrutto, sperando di poterli rimettere insieme, che ti sei ferito in maniera così profonda da sanguinare. Sembra quasi che, adesso, stringa meno forte i frantumi che ho ancora tra le mani, nonostante io non dimentichi chi mi ha lasciato solo, chi sapeva che mi avrebbe fatto del male e non si è risparmiato ad usare la mia sofferenza per farmi ancora più male, e non dimentico chi è rimasto, chi ha cercato di fare di tutto per stringere quei pezzi di amore insieme a me.

E adesso sento come se mi stessi, lentamente, riappropriando di me. Certo del fatto che se la vita mi darà una seconda possibilità, non sarà certo perché qualcuno mi ha regalato qualcosa, o perché qualcuno abbia vissuto per me. Ma sarà il frutto del male che ho provato su di me, delle notti trascorse a piangere sui marciapiedi, di nascosto, dei pomeriggi passati a disperarmi in Accademia, a bagnare di lacrime gli spartiti, nei giorni in cui ho vissuto l’addio e l’abbandono, il silenzio usato come stupida punizione, e tutto quell’amore che ho buttato appresso a chi aveva solo voglia di giocare.

Ma ora che, lentamente, sento riappropriarmi di me, riappropriarmi del mio futuro, non dovrò dire grazie a nessuno se deciderò di diventare un’altra persona, se deciderò di intraprendere un’altra strada, un altro percorso dove forse, finalmente, troverò davvero il coraggio di non farmi più del male, e chiudere a chiave, a tripla mandata, per sempre, quella porta che mi sto, piano piano, lasciando alle spalle.

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