Riscrivere noi stessi

Riscrivere noi stessi

Riscrivere noi stessi fa sempre male e non è certo bello, ma talvolta, purtroppo, è necessario per vivere e andare avanti diventando persone migliori!

Riscrivere noi stessi fa malissimo, ma talvolta, purtroppo è fondamentale.

E’ sempre brutto dover riscrivere noi stessi, dover riprogrammare quello che siamo, e sebbene tu abbia la totale consapevolezza del fatto che devi sopravvivere in qualche modo, che devi andare avanti, e, purtroppo, talvolta questo comporta dover cancellare, dover superare anche se ti fa un male che non riesci a descrivere, il dolore che comporta un cambiamento, la difficoltà che comporta il doversi strappare pezzi da dosso, da dentro, è un male che ti trafigge, che ti rende sicuramente diverso da quello che eri ieri, da quello che sei stato e che, forse, volevi essere.

C’è gente che scappa dal proprio dolore, o si illude di farlo, e lo fa viaggiando per il mondo, distraendosi in mille modi diversi, forse solamente per avere l’illusione che questo basti ad andare avanti come se niente fosse accaduto, come se il loro dolore non esistesse nemmeno. Io no: io sono più realista, più concreto, e penso che il dolore sia da vivere, sia da metabolizzare, sia provare sulla propria pelle, attendendo il momento naturale e fisiologico in cui si avvertirà la necessità del cambiamento e di una vera “riscrittura personale” di tutto quello che, lentamente, ci lasciamo alle spalle. Naturalmente, questo non può non comportare il dolore del necessario allontanamento, dell’ovvio rendersi conto di ciò che stai strappando via, forzatamente, da te stesso, ma è il classico, solito, principio del cerotto: se ti ostini a tenere il cerotto appiccicato sulla pelle, la ferita non guarirà mai. Si, strapperai via il cerotto e ti farà malissimo, sentirai dolore e bruciore e resterà il segno per molto tempo, ma non appena decisi di toglierlo, sei già consapevole del fatto che stai iniziando il processo di guarigione.

Fa male? Certo, non lo mette in dubbio nessuno, ma ora più che mai mi rendo conto che, come diceva Caterina Caselli, “si muore un po’ per poter vivere!”

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